Un’indagine su alcune delle bevande più diffuse rivela la presenza di PFAS e pesticidi: dietro al sapore dolce, si nascondono rischi invisibili.
Quando il termometro comincia a salire e il sole picchia, la tentazione di stappare una bibita ghiacciata è praticamente irresistibile. Una cola frizzante, un tè alla pesca o un’aranciata spumeggiante donano un sollievo immediato. Ma quel sorso dissetante che ci sembra innocuo, o magari addirittura “light” perché senza zuccheri, nasconde qualcosa che l’etichetta non dice e che forse nessuno vorrebbe davvero sapere.

Dietro il gusto dolce e rinfrescante di molte bevande industriali, si nasconde una realtà ben più amara. Parliamo di sostanze come i PFAS e i pesticidi, che nessuno aveva intenzione di assumere ma che sono li, silenziosi e invisibili, nel nostro bicchiere.
Una recente analisi di laboratorio ha messo sotto la lente alcune tra le bibite più popolari nei supermercati italiani, rivelando tracce di contaminanti che, sebbene entro i limiti di legge (quando esistono), sollevano dubbi e qualche preoccupazione.
Dietro il gusto, l’inganno: cosa contengono davvero le bevande più amate dagli italiani
Parliamo di soft drink in tutte le salse: aranciata, cola, tè freddo, limonata. Le solite che ci fanno compagnia da sempre, presenti in ogni bar, ogni spiaggia e ogni frigorifero estivo. Ecco, tra i 14 campioni analizzati, in 7 sono state rilevate due sostanze perfluoroalchiliche: il Pfms e il PfhxA. Quest’ultimo, per capirci, sarà bandito dall’Unione Europea nei tessuti e nei cosmetici dal 2026, tanto per farsi un’idea.

È vero che le quantità trovate sono lontane dai limiti considerati pericolosi nelle acque potabili, ma resta il fatto che stiamo parlando di un tipo di contaminazione che non dovrebbe esserci.
Sul fronte dei pesticidi, le sorprese non mancano. In 5 campioni, tutti a base di arancia, sono comparsi residui di sostanze come l’imazalil, il pyrimethanil e lo spirotetramat. Il primo è un fungicida che viene ancora usato largamente nonostante sia considerato “probabile cancerogeno”. Il secondo è sospettato di avere effetti tossici e mutageni, mentre il terzo sarà vietato tra poco più di un anno per il rischio di compromettere fertilità e sviluppo fetale.
Una bella compagnia, insomma, soprattutto se pensiamo che per queste sostanze nei soft drink non esistono soglie ufficiali, quindi ognuno può dire la sua, ma nessuno può mettere limiti.
E mentre si cerca conforto leggendo l’etichetta per scegliere la bevanda che sia la meno peggio, ecco che arrivano gli edulcoranti a complicare il quadro. Il sucralosio e l’acesulfame K spuntano come alternative “più sane” allo zucchero, ma anche loro, secondo alcuni studi, non sono poi così rassicuranti.

E a proposito di zucchero, i numeri parlano da soli: alcune bibite arrivano a contenere oltre 13 grammi ogni 100 ml. Sì, praticamente un cucchiaino e mezzo a ogni sorso, e in certi casi, persino chi usa dolcificanti ci aggiunge anche lo zucchero, come se non bastasse.
Il problema è soprattutto quello che non si vede. Non c’è modo di sapere con certezza se la bibita che beviamo contiene PFAS o pesticidi, perché semplicemente non è obbligatorio scriverlo da nessuna parte. E questo rende difficile per chiunque scegliere davvero in modo consapevole.
Non serve rinunciare del tutto a una bevanda fresca in estate, ma almeno sapere cosa c’è nel bicchiere può farci alzare un sopracciglio prima di aprire la prossima lattina.