Il fallimento dell’azienda per cui si lavora è un’evenienza che chiunque vorrebbe scongiurare, soprattutto se si trova a pochi dalla pensione: ecco cosa succede al TFR in caso di cessazione attività.
Appare abbastanza chiaro che il fallimento di un’azienda sia l’epilogo di un percorso che per varie ragioni ha portato il proprietario dell’attività in una situazione di perenne perdita di profitti, dalla quale non riesce o non può uscire solo con le proprie forze. Risulta altrettanto chiaro che a pagarne le conseguenze non sono solamente i titolari dell’attività, ma anche tutti i dipendenti.
Con ogni probabilità, infatti, questi hanno lavorato per un lungo periodo senza ricevere retribuzione con la speranza che questa fedeltà all’azienda avrebbe potuto portare ad una ripresa economica e al ritorno della normalità. Quando subentra il fallimento si trovano dunque a dover recuperare le mensilità non corrisposte e anche il TFR, ovvero quella somma di denaro che contrattualmente viene accantonata ogni mese per poterla riscuotere poi alla fine del rapporto di lavoro.
Ci si chiede dunque cosa possa succedere a questa somma accantonata nel caso in cui l’azienda sia in fallimento, dato che il datore di lavoro non ha la possibilità fattuale di corrispondere la somma ai dipendenti. Ebbene in tal senso c’è una buona notizie, poiché i lavoratori possono in qualunque caso recuperare il TFR grazie al Fondo Garanzia dell’INPS, ma devono seguire obbligatoriamente dei passi.
La prima cosa da sapere è che se un titolare d’azienda dichiara il fallimento, i lavoratori non vengono immediatamente licenziati, si entra in una fase di sospensione dell’attività lavorativa finché non viene presa una decisione definitiva. Ad occuparsi di questa decisione sarà il curatore fallimentare, qualcuno incaricato di valutare la situazione economica dell’azienda e le prospettive di un eventuale rilancio della stessa.
In questa fase i dipendenti sono in una specie di limbo, durante il quale devono attendere la decisione del curatore. Questo infatti può decidere se avviare l’esercizio provvisorio, ovvero fare ripartire l’attività allo scopo di venderla successivamente a qualcuno che possa garantirne il futuro, oppure licenziare i dipendenti. Nel secondo caso dovrà comunque rispettare le leggi riguardanti i licenziamenti singoli e di massa.
Ciò che possono fare in questo caso è richiedere la “messa in mora” del curatore, procedura che impone al gestore temporaneo di prendere una decisione definitiva entro 60 giorni. Per recuperare il TFR va inviata invece la domanda di ammissione al passivo fallimentare, informando il curatore della consistenza del credito che vanta nei confronti dell’azienda, ovvero l’ammontare esatto del TFR accumulato e le eventuali mensilità arretrate. A questa allegare una documentazione che testimonia questo credito: lettera d’assunzione, contratto e buste paga.
Una volta inviata la domanda è utile farsi assistere da un patronato, un sindacato o un avvocato perché la procedura può richiedere tempo e continua vigilanza. L’importante è non fare scadere i termini per la presentazione della richiesta del credito: bisogna fare valere i propri diritti entro 5 anni dal fallimento dell’azienda.
La pratica verrà esaminata da un giudice il quale valuterà la documentazione e stabilirà l’esatto ammontare della cifra spettante. Qualora il titolare dell’azienda non possa corrispondere la cifra sarà il Fondo Garanzia dell’INPS a coprirla per intero.
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