Gli attacchi d’ansia possono essere debilitanti e rendere la vita un vero e proprio inferno, per contrastarli potreste mettere in pratica i consigli offerti da uno studio portato avanti ad Harvard.
La sensazione di ansia la conosciamo tutti, il nostro corpo s’irrigidisce, le sensazioni corporee aumentano o si focalizzano su un fastidio in particolare e cominciano a mandare impulsi di pericolo al cervello. Ben presto anche il respiro diventa affannoso, la mente si offusca e non riesce più a lavorare correttamente.
Quando questo accade si può cercare di gestire le emozioni, di distrarsi per riportare il corpo e la mente alla normalità, ma ci sono volte in cui i nostri sforzi sono insufficienti e l’ansia si tramuta in un attacco di panico. In questi casi la percezione di chi lo sta attraversando è che la fine è giunta e che il malessere che si prova è quello precedente al passaggio ad un’altra realtà, quella dell’oltretomba.
La prima esperienza di questo tipo è traumatica, ma serve a comprendere quando i sintomi che percepiamo sono dovuti all’ansia e non ad un malessere fisico fatale. Ciò non significa che da quel momento in poi non si possano più avere attacchi d’ansia, ansi è solo il primo segnale del fatto che l’ansia ha raggiunto livelli tali da essere posta sotto osservazione.
Erroneamente si pensa che chi si fa condizionare dall’ansia sia una persona debole e che basti semplicemente infondergli fiducia per fargli superare questa problematica, in realtà non si tratta di debolezza ma di un vero e proprio allarme interno che avvisa la persona che è giunto il momento di cambiare qualcosa nella sua vita.
Il fatto che al giorno d’oggi gli attacchi di panico e gli stati d’ansia siano diffusi in tutta la popolazione e riguardino persone appartenenti ad ogni fascia d’età è indicativo di come sia la strutturazione della società odierna a favorire simili disturbi. Il costante anelito al miglioramento personale e professionale, il confronto con gli altri, la necessità di fare i salti mortali per rispettare le scadenze e quella indotta di rispettare le aspettative sono alcuni degli elementi che accentuano questo disturbo.
La diffusione di simili sintomi e problematiche ha spinto diversi gruppi di studiosi ad analizzare la questione e a provare a comprenderne le origini, le cause e le possibili soluzioni. In tal senso possono esservi d’aiuto le conclusioni di uno studio condotto ad Harvard, il quale parte dal presupposto di chiarire cosa sia effettivamente l’ansia.
Questa infatti non è solamente una reazione emotiva allo stress, ma una protezione preventiva che il nostro cervello attiva quando percepisce un pericolo, presente, futuro, reale o ipotizzato. Provare ansia non significa essere fragili, ma che il cervello cerca di avvisarci di qualcosa, come ad esempio:
Da questo si comprende come l’ansia non possa essere derubricata come “debolezza mentale”, bensì come un sintomo di qualcosa che non va, che va compreso, accettato o modificato affinché si riesca nuovamente a sentirsi al sicuro, in pace con sé stessi. Affrontare l’ansia non è un gioco, è un percorso che richiede tempo e dedizione.
Gli studiosi di Harvard suggeriscono di effettuare un esercizio ogni volta che si prova una forte ansia. Per metterlo in pratica bastano una penna, un foglio di carta e i nostri pensieri:
Il primo passo è porsi una semplice domanda: “Cosa sto pensando?”. Una volta trovata la risposta bisogna porsi una seconda domanda: “Questa paura è basata su fatti o su ipotesi?”. Compreso questo bisogna infine chiedersi: “Come vedrei questa situazione tra una settimana, un mese o un anno?”.
Queste tre semplici domande servono a sviscerare il problema, analizzare lucidamente ciò che ci spaventa e successivamente metterlo in prospettiva, svuotandolo delle emozioni del momento e riuscendo in questo modo a guardarlo con distacco.
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